L'importanza dell'amicizia
Avete degli amici nella nostra vita con i quali condividere i nostri momenti di felicità e tristezza, è molto importante. Gli amici formano una parte fondamentale della nostra vita.
L'amico è colui che ci sta sempre accanto nei momenti in cui ne abbiamo bisogno, è colui che ci da dei consigli anche se a volte non siamo d'accordo...
Molto spesso siamo portati a definire "amici" tutte le persone con le quali abbiamo dei rapporti frequenti, con cui scambiamo quattro chiacchere o usciamo il sabato sera e non ci rendiamo conto che in realtà la maggior parte di costoro sono dei semplici conoscenti quando invece un amico è colui che sta con te non per cos'hai, ma per chi sei.
Gli amici non sono nostri "cloni", ma sono un completamento di noi stessi, con i quali si crea una perfetta sintonia per cui anche senza bisogno di grossi discorsi, l'altro sa già cosa vuoi dire e viceversa, anzi l'amico è colui con il quale puoi anche stare in silenzio.
L'amicizia è la chiave della vita, la quale ci porta alla strada dell'amore e nella quale impariamo ad amare noi stessi ed i nostri simili.
Amicizia vuol dire anche fedeltà; l'essere fedeli in un rapporto di amicizia costituisce uno degli elementi fondamentali e fa si che esso sia lungo e duraturo perché essendoci fiducia sia noi come i nostri amici ci sentiamo più sicuri nel confidare i nostri segreti e quindi di stabilire un buon rapporto.
"Amico mio, tu e io rimarremo estranei alla vita, e l'uno all'altro, e ognuno a se stesso, fino al giorno in cui tu parlerai ed io ti ascolterò, ritenendo che la tua voce sia la mia voce: e quando starò ritto dinanzi a te pensando di star ritto dinanzi ad uno specchio".
Gibran Kahlil Gibran
E...state con il Tour
Anche quest’anno ad accompagnare l’“autunnale” estate 2014 è presente il Tour de France, famosissima gara ciclistica a tappe maschile nata nel 1913 e giunta alla centounesima edizione. A partire dal 1984 parallelamente si svolge anche il Tour de France femminile con tappe più brevi. Tutte e due le manifestazioni (a differenza del GIRO D’ITALIA e della VUELTA DI SPAGNA) terminano sempre nella capitale del Paese cioè Parigi. Nelle tre settimane di corsa si tocca tutto il territorio francese, dalle Alpi ai Pirenei, dai Vosgi al Mare del Nord, fino alla meravigliosa Costa Azzurra. La Grand Boucle (altro nome dato al Tour de France) è anche la corsa che più combatte l’uso del doping facendo oltre cento controlli quotidiani a vari ciclisti per tutelare i veri sani valori dello sport. A tutti gli appassionati è rimasta nella mente la vicenda che ha colpito Lance Armstrong (vincitore di 7 Tour) , trovato positivo a sostanze proibite e successivamente cancellato dall’albo d’oro della manifestazione.
Un proverbio francese dice: “Chi non vince il Tour non è un vero campione”, e aiutandoci con l’Albo d’Oro di campioni italiani ce ne sono stati parecchi: da Ottavio Bottecchia a Gino Bartali, da Fausto Coppi a Gastone Nencini, e da Felice Gimondi all’indimenticabile pirata Marco Pantani. Speriamo che anche quest’anno si aggiunga qualche altro EROE.
Grest 2014
Anche quest’anno, nelle parrocchie di Alcenago e Stallavena, si è svolto il grest di Mary Poppins, durante il periodo di fine giugno-inizio luglio. Le giornate di grest sono state gestite dai ragazzi delle due parrocchie, che hanno iniziato a dae forma al grest durante gli ultimi giorni di maggio, per avere la possibilità di donare ai ragazzi che si sarebbero iscritti, un’attività organizzata e programmata. L’organizzazione del grest è riuscita a coprire economicamente le spese per la realizzazione della totalità del grest grazie all’intervento di sponsor che hanno dato la possibilità ai ragazzi di prendere parte a giornate sempre complete e varie. Il grest si sviluppava secondo uno schema fisso di attività, che scandiva i tempi durante le giornate. All’iniziale accoglienza seguiva sempre un momento di preghiera e di riflessione, momenti gestiti da Don Piergiorgio e da Padre Saturnino. Grazie alle possibilità economiche date al grest da sponsor e da genitori (tramite le iscrizioni settimanali), ogni giorno i ragazzi hanno avuto la possibilità di eseguire con le loro stesse mani dei “lavoretti”, cioè delle attività volte alla realizzazione di oggetti come portapenne, aquiloni e salvadanai. La merenda veniva fornita ai ragazzi tramite il “laboratorio di cucina”, grazie al quale un gruppo di ragazzi si cimentava nel cucinare, con lo scopo di creare la merenda per tutti. Durante la seconda parte di ogni giornata di grest, tutti i ragazzi hanno avuto la possibilità di svagarsi attraverso svariati giochi proposti dagli animatori. Durante il mese di grest sono state organizzate anche delle gite in svariate locazioni, per permettere ai ragazzi di spezzare le settimane con giornate diverse.
Il grest è un periodo che permette alle persone di avere una crescita personale, in quanto esso insegna a convivere a contatto di molti altri, anche se in apparenza diversi, uguali a noi. Le possibilità di crescita che il grest prospetta ad ogni singola persona sono innumerevoli, anche per gli animatori. La responsabilizzazione del dover gestire i ragazzi, la preoccupazione della buona organizzazione generale fanno si che una persona che si cimenta nel ruolo dell’animatore si debba misurare con varie mansioni di cui dovrà rispondere. L’esperienza del grest permette di crescere nell’ambito delle relazioni tra persone: si ha la necessità di saper ascoltare gli altri, si deve esporre le proprie idee senza sormontare quelle altrui, si impara il rispetto per gli altri, tra pregi e difetti. Inoltre, il grest permette di capire vari aspetti di noi stessi: Il limite che possiamo raggiungere, provare a superare sorretti da una spalla amica già andata oltre quel limite, i pregi e i nostri punti di forza da valorizzare e condividere con gli altri, le sfumature della nostra persona che potremmo smussare per non dover scalfire gli altri.
La bellezza dello stare insieme è il condimento che primeggia sugli altri. Prendere parte al grest significa stare con gli altri, divertirsi, ridere e scherzare, con gli altri.
Una recensione: Cuore sacro
Irene Ravelli, manager di successo è riuscita grazie alla zia e socia in affari Eleonora ad ottenere il dissequestro del palazzo dei genitori che vuole utilizzare per scopi imprenditoriali. Torna nel palazzo per controllare e incontra l'anziano custode Aurelio, che le fa visitare la stanza della madre Adriana, rimasta ancora intatta come se qualcuno ci abitasse ancora. La stanza è piena di scritte simboli senza significato incisi sulle pareti. Fuori dal palazzo, Irene incontra Benny, una ragazzina che le ruba il portafoglio. La bambina, presa da Irene, le offre di pagare la cena la prossima volta che si sarebbero viste. Irene ed Eleonora vanno dalla zia Maria Clara, ricoverata in un centro riabilitativo per farle firmare una carta, per l'inizio dei lavori nel palazzo. Però, nonostante le minacce della sorella Eleonora, decide di rifiutare di firmare. Poco tempo dopo, Irene incontra nuovamente Benny e mentre sono insieme, Irene dimostra una piccola giraffa, simile a quella che aveva da piccola. Poi la ragazzina chiede a Irene di aiutarla a portare delle buste di spesa a certi indirizzi del vicinato. Irene all'inizio rifiuta, ma poi decide di accettare e per la prima volta vede una realtà a lei sconosciuta, caratterizzata dalla povertà. Irene scopre, inoltre, che Benny fa Parte del volontariato della chiesa di padre Carras, anche se la bambina dice che padre Carras le aveva invece chiesto di convincere quelle persone povere ad andare alla mensa dei poveri. Dopo aver ricevuto il consenso dei lavori da parte della zia, Irene scopre che Benny è morta investita da un'auto mentre scappava dopo aver rubato una giraffa giocattolo, la stessa che Irene aveva mostrato a Benny.
Sentendosi in colpa, Irene assieme a padre Carras si prende cura dei più poveri: trasforma il palazzo in una mensa per i poveri e utilizza i soldi per regalare le case popolari alla gente. Questo comporta dei rischi nella sua carriera; infatti la zia Eleonora la definisce pazza, come la madre. Padre Carras mostra ad Irene i numerosi poveri che vivono fra le rovine e le chiede come pretende di poter aiutare tutta quella gente senza una aiuto organizzato. Allora lei, si reca in metropolitana e si spoglia di tutto ciò che ha: gioielli, scarpe, vestiti... Così Irene decide di farsi aiutare da una psicologa, la quale è colpita dall'altruismo di Irene.
L'ultima scena di questo film mostra un grande quadro nel quale è dipinta la madre con il viso di Benny.
Secondo noi è un film bello e significativo, che é particolare non solo per la trama ma anche nella scelta dei personaggi. Personalmente a noi è piaciuto molto; all'inizio credevamo fosse un po' noioso, ma poi, guardandolo tutto, ci siamo rese conto che è un film che ti fa riflettere su quante persone si trovano nella stessa situazione, che non riescono ogni giorno a superare le loro difficoltà.
Una piccola impresa nel Salzkammergut
Ho sempre considerato il ciclismo uno sport faticoso, dove bisogna tirare fuori gli attributi. Di questa verità uno se ne rende conto la prima volta che prende la bici e affronta la sua prima salita: si chiede subito come fanno i corridori che fanno il Giro ed il Tour a non sentire tale fatica. Marco Pantani diceva che andava così forte in salita, per ridurre la durata della sua sofferenza.
Senza andare alla ricerca dei "facili trucchetti" - e qualcuno di voi penserà subito al doping - chiunque può scoprire abbastanza presto che una delle cose più importanti del ciclismo è l'allenamento: se ti alleni a dovere, puoi superare tante asperità. Se ti alleni alla fatica, alla sopportazione, allo sforzo, non dico che puoi affrontare qualsiasi montagna, perché a tutto c'è un limite, ma ci puoi arrivare molto vicino. Si realizza in questo sport proprio la metafora della vita: se ti impegni strenuamente, i risultati a cui puoi arrivare possono essere assolutamente sbalorditivi, quasi dei miracoli.
Quando tanti anni fa ho cominciato ad andare in bici con Lorenzo R., non riuscivo a capacitarmi di come lui potesse andare tanto sul piano quanto in salita. Poi piano piano, col passare degli anni, partendo dalla mia prima Lessinia Legend del 2007, arrivando fino ai vari brevetti nazionali degli ultimi anni, ho realizzato che la resistenza sulla lunga distanza e prolungata nel tempo era una caratteristica in cui avevo qualcosa da dire, vuoi perché non eccellevo nello sprint o nella salita pura, vuoi perché quando c'è da mettersi in discussione, non mi tiro mai indietro.
Due anni fa ho cominciato ad immaginare se avrei mai potuto affrontare e portare a termine la Salzkammergut Trophy, la gara di mountain bike più dura d'Europa, stando a quanto recita il manifesto ed il sito della gara.
Questa gara, nel cuore della Mitteleuropa a poco più di un'ora da Salisburgo in Austria, frequentata da migliaia di ciclisti dell'intero arco alpino, ma anche tantissimi tedeschi ed amatori di tutta l'Europa, catalizza l'interesse dei più arditi amatori, proprio per i numeri del percorso più lungo: 211 chilometri di sterrati e 7000 metri di dislivello in salita! In più si aggiunge un paesaggio tanto incantevole, quanto impervio in alcuni passaggi, che lo rendono assolutamente desiderabile a tantissimi altri percorsi nel resto d'Europa.
Tanto per intenderci le più dure tappe del Giro d'Italia possono arrivare a tale chilometraggio, molto spesso in pianura, mentre le salite difficilmente arrivano ad accumulare più di 5000 metri di dislivello. Solo che il Giro d'Italia si corre su strade asfaltate, non su carrarecce, mulattiere forestali, ciclabili a fianco dei laghi e sentierini sperduti nei boschi come alla "Salz"!
L'anno scorso mi ero deciso di prendere parte virtualmente a questa gara, semplicemente seguendo sul web i tempi intermedi di alcuni amici romagnoli. Vederli superare i vari cancelli accresceva la mia stima nei loro confronti, ma al contempo accendeva il desiderio di emularli, visto che anche loro erano passati prima di me per gli stessi tracciati che ho pedalato negli ultimi anni, come la Dolomiti Superbike in Val Pusteria, la Marathon dell'Alta Valtellina e la Black Forest in Germania.
All'inizio della primavera di quest'anno ho coinvolto così qualche altro amico nell'impresa e così, senza strafare nei mesi precedenti, mi sono preparato diligentemente a questa piccola impresa: vedere il traguardo della Salzkammergut Trophy!
L'obiettivo principale di ogni allenamento nel corso della primavera è stato anzitutto quello di stare seduto in sella tante ore, fino a avere il "culo quadrato.
Ricordo che nell'arco di 24 ore sono andato con la bici da strada da Grezzana a Bosco Chiesanuova ben quattro volte, con sosta obbligatoria nella pasticceria in paese. Ho scorrazzato in compagnia degli amici ciclisti per tutta l'Alta Lessinia almeno tre o quattro volte; ho corso anche una gara in Liguria nel cuore della notte ed infine, a solo una settimana dalla gara austriaca, mi sono sparato il tragitto dalla spiaggia romagnola fino a Grezzana, con un solo panino, un gelato e tanta cola!
Il giorno della gara la sveglia suona alle 3.30. Si parte talmente presto, alle 5 in punto, che il sole deve ancora sorgere, ma ci si vede abbastanza da non cadere a terra, anche se le facce dei più sono "imbogonate". Così si parte abbastanza increduli ed in un'atmosfera quantomeno surreale.
Lo speaker, dopo parecchie incitazioni in lingua teutonica, fa il conto alla rovescia e ci si ritrova senza volerlo già ai piedi della prima salita. Si sale già ad un ritmo abbastanza alto che viene subito il dubbio se le successive ennemila salite si riuscirà a farle o se si sarà costretti a girare la bici e ritirarsi per "forze esaurite". Sono tutti i "pensieri cattivi": cercano di remare contro la costanza e la determinazione che io, come altri seicento e più impavidi attorno a me, hanno deciso di mettere in campo. Più che l'allenamento è la convinzione di potercela fare che deve rimanere intaccata, nel ciclismo come in tanti altri sport di resistenza estrema, una questione di fede, insomma.
Guardi poi subito l'orologio e vedi che sono le 5.20: "Sei partito da venti minuti e già guardi l'orologio"? Quando il sole prova invano ad alzarsi e di farsi largo tra nubi minacciose, comincia a piovigginare. Qualcuno davanti a me decide drasticamente di porre fine alle prime avversità. Nel corso della gara è tutto un incrociare concorrenti, che optano per il ritiro e percorrono contromano la salita, che io e quelli a fianco a me stiamo cercando di scalare. Sembra quasi di vivere una scena dantesca, ma non distinguo bene se ci troviamo all'inferno o al purgatorio, in paradiso no di certo.
Comincio il gioco delle frazioni. Ogni tanto dico a me stesso e a Paolo, che pedalerà al mio fianco per l'intera gara, neanche fosse un angelo custode: "Abbiamo fatto un decimo", "abbiamo fatto un ottavo", "abbiamo fatto un sesto", "abbiamo fatto un quarto"!
E le ore passano. La pioggia smette e riprende. Fortunatamente i ristori si susseguono sul nostro percorso con una certa regolarità. Rimbombano più che mai i moniti di tutti quelli che sono passati prima di noi: "l'importante è bere e mangiare".
E ancora: “Se continui ad attingere alla fonte e ad alimentarti del pane quotidiano - neanche fosse una rivelazione cristiana - puoi andare molto avanti”. Per me e Paolo il menu giornaliero si compone di decine e decine di tranci di torta: torta paradiso e crostata alla cannella con marmellata di mirtilli, sorseggiando litri e litri di sali minerali intervallati da qualche bicchierata di Redbull, che, per chi non lo sapesse, in Austria scorre dai rubinetti come l'acqua calda.
Tra una salita e l'altra c'è però tempo di rifiatare: le discese sono spesso molto lunghe e veloci e si organizzano le forze rimaste, anche se di tanto in tanto qualche agguato si presenta dietro l'angolo, prima con un tratto di mezzo chilometro nel fango liquido di un sottobosco, poi su discese rocciose e sconnesse, dove Paolo ha la peggio volando letteralmente nel bosco e procurandosi qualche bella ammaccatura, senza però compromettere la sua continuazione. Quante volte avete visto i ciclisti rialzarsi e ripartire, altro che calciatori!
E' appena passato mezzogiorno, un acquazzone è lì dietro l’angolo, sono in sella già da sette buone ore ed il giochino delle frazioni è prossimo a sentenziare: "Siamo a metà"! In un tratto percorso in solitario mi lascio andare in un pianto liberatorio: comincio a realizzare che ce la posso fare. La quantità di adrenalina rilasciata da quel pianto farà tutto il resto.
Le varie difficoltà della catena che ogni tanto si aggroviglia su se stessa, del cambio che non vuole più saperne di cambiare, delle "sbroffe" di fango appiccicate sugli occhiali, delle tacchette delle scarpe che non vogliono starsene attaccate sui pedali, degli alluci contorti da una decina di ore, passano tutte una dopo l'altra, come sopra l'olio.
Nemmeno la salita cementata del Salzberg, affrontata dopo con 4500 metri di dislivello nelle gambe, mette in dubbio la riuscita dell'impresa, nonostante fosse quasi impossibile salirla anche a piedi, col 40% di pendenza.
Quando cominci a crederci, la salita prima si spiana e poi piega in discesa. Il gioco delle frazioni finisce e comincia un altro gioco, quello dell'attesa: prima delle ore, poi dei minuti che ti separano dal traguardo. Cominci già ad assaporarlo il traguardo. E' dolcissimo e lo gusti almeno un'ora prima, tanto da confondersi con l'ultimo trancio di crostata ai mirtilli - si, perché dopo tredici ore la torta paradiso se la sono mangiata tutta quelli davanti.
Io e Paolo siamo talmente ringalluzziti che recuperiamo ogni tanto su qualche altro concorrente sfatto e, ormai al traguardo dopo "solo" 14 ore e 41 minuti, sfiliamo ai 40 all'ora, neanche fossimo appena partiti ed ecco il traguardo pure in leggera discesa! Mi aspetta la mia famiglia a bocca aperta perché siamo arrivati un'ora prima del previsto, ci acclamano alcuni amici, applaude un intero paese con la stessa intensità con cui ha applaudito al vincitore, ai duecento arrivati prima di noi, così come agli altri duecento arrivati dietro.
Scendiamo dalle bici che non pare nemmeno essere vero. Non ero mai stato quindici ore consecutive in bici. Temevo dopo solo quattro o cinque ore di non sopportare più i piedi stretti nelle scarpe da mountain bike. Avevo paura per le braccia, che mi abbandonassero su una delle discese più spericolate. Pensavo che la schiena ricurva sul telaio in carbonio pretendesse una tregua dopo una decina di ore. Non pare nemmeno vero che non siano venuti né i crampi, né la tanto temuta crisi di fame.
Da subito ci credevo poco, poi ho creduto, infine sono stato abbagliato dalla verità. Nello sport, pari pari che nella vita, è solo una questione di fede.